FALCE – “Scythe”
Edizione Ferri Forgiati
EDIZIONE BASILE ARTECO (2011)
Autore Design Anonimo
Edizione 2011 " Triennale "
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BASILE ARTECO EDIZIONI
Falce realizzata in esclusiva per questa edizione in ferro forgiato al maglio e lavorato manualmente in Italia.
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Edizione realizzata in occasione della presentazione in Triennale a Milano, nel mese di marzo 2011, della Collezione “FERRI FORGIATI” disegnata da Enzo Mari e prodotta da BASILE ARTECO.
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Le FALCI sono realizzate appositamente in questa finitura e marchiatura per l'Editore e sono marchiate con punzone impresso a caldo sul tallone dorato con sigla "B.A." (BasileArteco) e con un marchio indicante il simbolo della "Falce e falciola".
E' presente un marchio applicato con il nome dell'Editore e caratterizzante questa Edizione.
Misure della Falce espressa in centimetri
cm. 62x10 c.a.
Product Made in Italy.
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Photograph courtesy of Enrico Campus.
Le Falci realizzate in esclusiva per questa edizione
sono realizzate in ferro forgiato al maglio e lavorato manualmente in Italia.
Edizione realizzata in occasione della presentazione in Triennale a Milano bookstore nel giorno 16 Marzo 2011
della Collezione dei “Ferri Forgiati” durante l'incontro pubblico con Enzo Mari "Il lavoro del Design" alla vigilia dell'inizio delle celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia.
Esposizioni:
PALAZZO DELLA TRIENNALE - "Enzo Mari: Il lavoro del Design" presentazione e incontro pubblico, Milano (2011)
FUORISALONE, Milan Design Week, Triennale Bookstore - Milano (2011)
"OPERAE" Mostra Design e Autoproduzione - Torino (2011)
GALLERIA SONIA ROSSO - Artissima Fair "Between Vases & Flowers", Torino (2012)
GALLERIA ANTONIA JANNONE - Milano (2012)
VENEZIA BIENNALE ARCHITETTURA 2014 - NAPE' 20th Century Murano Glass Gallery, Venezia (2014)
STEDELIIK MUSEUM DEN BOSH, mostra Formafantasma “Prima Materia”, Amsterdam (2014)
IL VALORE DELLE FALCI
Testo di ENZO MARI
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“… falci? Sì perché sono bellissime.
Le trovo bellissime anche se , come tutti da giovane ero intimorito dall’immagine barocca della Grande Mietitrice.
E’ evidente che non uso la parola bellissima in senso edonistico, ma perché penso che la falce sia un modello di quello che il design dovrebbe essere.
Trovo utile ricordare che si può parlare di design in due modi.
Il primo, nel bene e nel male è quello che si rifà al successo dell’italian line, alle industrie che producono reddito per tutti e ai “creativi” che trovano uno spazio gratificante di lavoro, secondo la visione nazional-popolare delle agenzie di pubblicità.
Il secondo, nella sfera ideale, è quello della riflessione serena sulle condizioni e sulle ragioni di questo lavoro.
Non c’è lo spazio qui per trattare in modo esaustivo di tutte le premesse al progetto (quali ad esempio: forma e significato, negazione e bisogni, norma e progetto).
Esemplificando il panorama delle poetiche in qualche modo riconoscibili, generatrici delle varie posizioni individuali, dico subito brutalmente ciò che penso: complessivamente non è che la riproposta ossessiva di tutte le forme possibili, private del loro significato.
Cinicamente si propugna il “banale” ; si promuove la “decorazione” nell’ignoranza del suo significato testuale di reiterazione di valore; si pretende la salvezza con triangoli e tubi di cartone quali metafore balorde di timpani e colonne, parodia di una memoria superficiale e confusa.
Per non parlare di chi persevera nella poetica del rapporto forma-funzione senza rendersi conto che, esaurite le funzioni normali, ora ci troviamo nell’universo parallelo delle funzioni Kitsch.
Su tutto questo aleggia la velleità dell’oggetto scultura.
Questa situazione di ossessione creativa e produttiva ha portato al totale scadimento della domanda progettuale: anche coloro i quali posseggono una cultura del progetto , che pur esistono, non riescono ad esprimerla; e quando, sia pur in modi acrobatici, pervengono a risultati di qualità, questi risultano ininfluenti, travolti nel mare della ridondanza.
Questo stato di cose deriva forse dal fatto che, in un mondo sempe più parcellizzato, il design non può che rifarsi a tre culture: quella della ricerca artistica, quella della ricerca tecnologica, quella dei rapporti di produzione, cioè dei bisogni.
La qualità formale dell’arte, ( da Fidia a Duchamp ) è espressione dell’ideale di una società o della sua contestazione. La qualità formale della tecnologia – di pari valore a quella dell’arte – (dal boomerang alla lampada di Edison ) è espressione delle ragioni della materia..
La qualità formale dei rapporti di produzione (dalla cattedrale di Chartres agli Shakers ) deriva dal sapere collettivo che permea una società.
Facciamo qualche riflessione su come le tre culture dovrebbero correttamente interagire nel progetto.
Gli oggetti dell’abitare, in primo luogo devono rispondere efficacemente alla loro funzione primaria.
Ma possono anche esistere funzioni rituali. Solo a due condizioni: l’esistenza di un rito riconoscibile; i segni che confermano la ritualità devono essere elementi costitutivi di un codice.
Ne consegue che il progetto è fondato essenzialmente sulla cultura della tecnologia e su quella dei rapporti di produzione.
Se questo è chiaro si capisce anche come il progetto si debba porre in relazione alla cultura dell’arte, certamente non in modo imitativo poiché in tal caso lo si degrada ad arte applicata.
Riappare la qualità formale dell’arte, – in quanto espressione dell’ideale di una società – poiché l’uso corretto della tecnologia correlato strettamente alla trasformazione dei rapporti di produzione (ricordiamo anche nel senso dei bisogni ) possono essere assunti quale unica prospettiva ideale della nostra società.
Ritorniamo alle nostre falci e al perché sono bellissime.
La prima ragione della loro bellezza sta nel tipo di bisogno. E’ un bisogno primario: vita o morte.
La sopravvivenza del contadino è sempre stata appesa ad un filo, anche a quello della falce.
La progettazione di questo manufatto doveva necessariamente essere perfetta. La garanzia della perfezione è data dalla compartecipazione al processo di progetto da parte delle due figure depositarie delle culture di riferimento citate: le ragioni della tecnologia espresse dal fabbro e le ragioni del bisogno espresse dal contadino.
Vediamo quali sono i bisogni a cui la tecnologia ha risposto: la falce deve essere la meno costosa possibile ( i contadini sono sempre stati poveri ); deve essere efficentissima ( molto robusta e molto leggera: il gesto faticoso di mietere dall’alba al tramonto ); l’efficienza deve poter essere mantenuta dal contadino stesso ( che frequentemente la riaffila con pietra abrasiva e periodicamente attenta martellatura ).
Premessi questi bisogni generali, una serie complessa di bisogni specifici, variamente interrelati, ha portato a piccole variazioni di forma o dimensione: per le caratteristiche del terreno (pianura, collina, scosceso, pietroso, ecc. ) e per la durata del lavoro di falciatura.
Queste differenze sono dovute anche al fatto che il processo di progetto della falce è avvenuto in epoche, paesi e continenti diversi (tenendo anche conto degli elementi di tradizione locale, propri della cultura contadina). Ciò nonostante i diversi specifici bisogni ed elementi di tradizione portano le condizioni di lavoro progettuale a dare lo stesso risultato archetipico di alta qualità formale.
Dunque, la riverifica nell’arco di 5.000 anni ha portato il progetto a diventare norma.
Oso dire che tale dovrebbe essere l’obbiettivo di ogni progetto, oggi, se si uscisse dall’ebefrenismo del “nuovo” per il “nuovo”.
Nei paesi industrializzati la falce ha un impiego relativamente marginale.
Ma è pur vero che i contadini del terzo mondo vivono nelle stesse condizioni che hanno portato a quel bisogno di progetto.
In Europa la fabbricazione si è fortemente concentrata in pochi luoghi.
Ho avuto modo di visitarne uno, a Dronero, in Piemonte.
La produzione, per quanto industriale, cioè parcellizzata, mantiene forti componenti di sapienza artigiana.
Si parte sempre da una barra che opportunamente scaldata viene progressivamente assottigliata, curvata e formata a colpi di martello.
Il lavoro è completamente manuale e la formazione avviene ad occhio, senza l’impiego di stampi e punti di riferimento. La tempra viene completata nelle fasi finali, a freddo, con una fitta serie di colpi di martello che, chi non sa, valuta come motivo ornamentale.
La qualità del nostro progetto archetipico è tale che il costo del manufatto è bassissimo ( nonostante gli oneri degli operai artigiani altamente qualificati di un paese industrializzato ).
La maggior parte della produzione può così essere venduta ad un prezzo accessibile ai contadini del terzo mondo.
Sono convinto che il basso costo sia un parametro sicuro per la qualità progettuale, se non altro perché obbliga il progettista a scartare tutte le stupidagginiche gli venissero in mente: la forma risolta non può che essere solamente necessaria.
Ricordiamo un’ultima cosa: nel progetto della falce non sono intervenute funzioni simboliche.
Questo vale alcune volte anche per il progetto delle armi, ad esempio la spada del samurai.
I bisogni riguardano ancora la vita e la morte. Ma nella guerra la vita e la morte fanno parte anche di un rituale. E sovente il progetto dell’arma ne risente ed è permeato dalla funzione simbolica.
Provate a confrontare la qualità formale dell’alabarda con quella della spada del samurai!
Si può quindi affermare che la sovrapposizione simbolica tende a sminuire la qualità formale ( il discorso rimane aperto per i manufatti la cui ragione è esclusivamente simbolica ).
Concludo con una precisazione: non sto sognando un mitico primitivismo (l’agricoltura oggi non può che essere meccanizzata): il progetto della falce può essere inteso come modello per il progetto del nostro abitare.
Vi prego di non ribattermi le solite ovvietà sociologiche sulla nostra società affluente: le conosco e dico che va cambiata.
E’ parlare da scemo del villaggio? E allora? “.
ENZO MARI, giugno 1989.
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Testo pubblicato in occasione della mostra “Perché una mostra di falci?”
per Bruno Danese in Milano, nel mese di Settembre 1989.